Il sito della scrittrice Anna Maria Funari

Giovedì, Aprile 25, 2024

"Una notte per capire" (1985)


UNA NOTTE PER CAPIRE
 
Quel mattino Steve era andato a letto tardi; era stato in giro fino alle quattro per procurarsi un po’ di roba; dopo tanto vagare, era riuscito a trovarla ma si era dovuto rivolgere ad un altro spacciatore, visto che il suo fornitore abituale era stato beccato dalla Polizia; l’aveva anche pagata più cara, ma aveva bisogno di sapere di averla a disposizione in qualunque momento avesse voluto.
Poi se n’era andato a casa, costeggiando i vicoli bui, e passando per il vialetto che dava sul retro, dov’era il garage. Si era seduto sui gradini della porta di servizio e aveva guardato in alto, verso le finestre, per controllare che non vi fossero luci e non era restato un gran che deluso nel constatare che la casa era avvolta dal buio.
Steve si drogava già da qualche anno, da quando sua madre era morta e suo padre, dopo solo qualche mese, si era risposato.  
 
Il dottor Bradley non si era mai dato molta pena per il figlio e Steve aveva sempre identificato la figura paterna con quella di una inesauribile banca a cui attingere ogni qualvolta ne avesse avuto voglia. Negli studi non era mai stato un tipo molto brillante, ma i soldi di suo padre avevano sempre risolto ogni crisi di coscienza degli insegnanti e anche quando era partito per il Vietnam gli avevano assicurato sicurezza ed incolumità, una situazione di privilegio che il potere finanziario del genitore era stato in grado di garantirgli, e mentre tanti altri ragazzi morivano lui molto spesso combatteva un diverso tipo di “battaglie” in ben altri luoghi decisamente più sollazzanti. Così grande era stata la potenza finanziaria del dottor Bradley che, dopo un solo anno passato in quella terra dimenticata da Dio, Steve era stato rispedito a casa con il suo bravo congedo.
In quel periodo aveva cominciato a chiedersi quanto, in realtà, lui contasse per suo padre. Non ricordava, a memoria d’uomo, se gli avesse mai chiesto come stava oppure, vedendolo preoccupato, se c’era qualcosa che non andasse.
L’unica, stramaledetta domanda che era capace di fargli, era se, per caso, gli servissero dei soldi!
Cercò di scacciare quei pensieri che turbavano un poco la sua coscienza, ma questi riaffioravano sempre, fissi, inamovibili, come relitti di un naufragio, come resti immobili ed inutili della sua esistenza.
Si alzò di scatto, entrò in casa e, in fretta ma silenziosamente, salì fino alla sua camera. Accese la luce, si sdraiò sul letto e, da sotto il materasso, tirò fuori un giornale a fumetti per cercare di distrarsi un po’. Leggendo, gli venne in mente, senza un vero perché, la considerazione che da tanto tempo non usciva con una ragazza e, guardandosi indietro, si accorse che, immancabilmente, anche in questo campo i soldi di suo padre avevano avuto un ruolo rilevante.
Spense la luce, provando a dormire, ma il pensiero dei soldi e della loro straordinaria potenza non gli dava tregua; ripensò all’auto sportiva comprata qualche tempo prima, senza il benché minimo sforzo da parte sua, e con cui non ci aveva rimesso la pelle solo per un miracolo, alla moto comprata da un anno e già fuori uso.
Considerò allora che la sua vita era costellata da tutta una serie di capricci che il genitore non aveva mai tardato a soddisfare; adesso non gli chiedeva più né dove passava le sue notti, né come spendeva i soldi che, generosamente, gli elargiva.
Dentro di sé Steve era più che felice di non doversi inventare qualche fesseria per nascondere la sua situazione.
Socchiudendo gli occhi, cominciò a chiedersi perché fosse arrivato alla droga. La più ovvia giustificazione che riuscì a trovare furono il dolore per la perdita della madre e la delusione per il nuovo, pressoché immediato, matrimonio del padre; tuttavia, riusciva a restare abbastanza onesto con sé stesso per riconoscere che la sua natura umana tendeva, come sempre, a soffocare quanto la coscienza suggeriva in quel frangente. La verità era che, a quasi trent’anni, aveva avuto tutto ciò che un uomo, maturo e responsabile, conquista in una vita intera.
Aveva studiato, pur senza molti risultati, soldi e libertà non gli erano mai mancati, aveva avuto donne, auto, tutti gli sfizi, di qualsiasi genere e natura, se li era tolti e l’unica, immensa fatica che aveva fatto, in questi frangenti, era stata quella di chiedere soldi che non gli erano stati mai negati!
Sua madre aveva cercato, in ogni occasione, di frenare le sue pretese, ma poi aveva finito sempre con l’acconsentire: era suo figlio, il suo unico figlio, e voleva che non gli fosse mancato nulla!
E nulla gli era mancato; la sola cosa che gli restava per provare, nella sua vita, l’ebbrezza di qualcosa di nuovo, di proibito, era la droga. Aveva cominciato quasi per scherzo, la solita bravata tra amici, il solito spinello ad una festa; poi aveva continuato, facendo dell’erba un’abitudine, poi non era più bastata, la sensazione che gli dava non era più così forte come all’inizio e allora... allora aveva cominciato a bucarsi. Le prime volte riusciva a farsi bastare i soldi che suo padre gli dava, poi non erano più sufficienti ed era capitato che Steve facesse una visita nel portafogli paterno, per arrivare infine a richiedere semplicemente una somma maggiore, ottenendola. E senza bisogno di fornire nessuna spiegazione.
Steve non sapeva bene se, nella vita di quell’uomo, lui e sua madre avessero rappresentato veramente qualcosa di importante o se lui, il dottor Bradley, li considerasse soltanto un episodio, un capitolo nella storia della sua vita. Susan si, che contava, invece! Dopo averla sposata era letteralmente ringiovanito; non sembrava neppure un uomo di quasi settant’anni e questo a Steve non era piaciuto. Era lampante, per chi vedeva dall’esterno, che Susan non poteva averlo sposato per amore; vicini potevano sembrare un nonno con la sua procace nipote, tanta era la differenza di età.
Eppure, una ragazza giovane e carina come Susan non avrebbe avuto nessuna difficoltà a trovare una occasione migliore per “sistemarsi”. Steve si rese conto che, come in tutto il resto, l’interesse economico aveva giocato la sua splendida parte! Di fronte alla possibilità di risolvere ogni problema per il resto della sua vita, senza più preoccupazioni di sorta, la piccola arrivista non ci aveva pensato su più di tanto e si era assicurata una abbondante fetta di torta. Non aveva neppure preso in considerazione Steve: evidentemente non la preoccupava molto di avere un figliastro più vecchio di lei e, tutto sommato, anche gradevole; anzi, non perdeva occasione per punzecchiarlo, ostentando la sua provocante femminilità.
Steve, stanco di tutti questi interrogativi, si alzò, prese dal cassetto una siringa e ne aprì l’incarto; ne comprava scatole intere al supermercato, non si fidava di riusare la stessa più volte.
La preparò con cura mentre ripensava a tutte le volte che la ragazza aveva cercato di stuzzicarlo e l’irritazione che mostrava quando lui non la considerava; lo divertiva, tuttavia, pensare alla faccia di suo padre se avesse solo immaginato che sua moglie aveva cercato in più di un’occasione di portarselo a letto! Probabilmente, anche in questo imbarazzante frangente, i soldi avrebbero risolto ogni questione: nel peggiore dei casi, lui si sarebbe trovato padrone di una casa tutta sua, magari in un altro Stato, lontano dalla volubile moglie di suo padre.
Mentre si legava il laccio al di sopra del gomito, Steve si accorse che, in fondo, non gli rimproverava di essersi fatto accalappiare da una come Susan, quelli erano soltanto fatti suoi, ma di non aver aspettato un po’ più a lungo: la sua prima moglie gli aveva lasciato un figlio a cui badare, a cui non aveva mai pensato e Steve aveva creduto, per lo spazio di un istante, che quella disgrazia avrebbe potuto riavvicinarli e invece... niente da fare! Cercò attentamente la vena e, con mano sicura ed esperta, vi infilò l’ago e iniettò quel dolce veleno dentro di sé. Ebbe l’immediata sensazione di trovarsi fra le braccia della più calda delle amanti, la testa divenne improvvisamente leggera e la mente si sollevò libera, nell’aria; ebbe l’impressione di volare con un deltaplano, in balìa delle correnti, la vista non più limitata da pareti. Era libero, libero di andare dove voleva, di vedere quello che gli piaceva, di guardare sotto di sé e credere che quei prati così verdi e quei fiumi così azzurri non si trovassero solo in Paradiso...
All’improvviso, un dolore lancinante al petto; Steve, per la prima volta in vita sua, ebbe paura. Era da molto tempo ormai che si bucava e una cosa simile non gli era mai accaduta! Il dolore si fece più forte, intenso ed insistente, Steve tese una mano per tentare di accendere la luce; non riuscì a muoversi e sentì il suo corpo coprirsi all’improvviso di un sudore freddo e, nel silenzio della notte, sentiva l’eco del suo cuore battergli irregolarmente, come impazzito. Ebbe il terrore di aver sbagliato a preparare la dose, cercò di gridare, di chiamare aiuto, ma la voce gli restò soffocata nella gola.
Forse aveva sbagliato a preparare al siringa... sicuramente aveva sbagliato le sue scelte. Ora nulla aveva più importanza, tranne che riuscire a chiamare aiuto, altrimenti i soldi di suo padre, quegli stramaledetti soldi, sarebbero soltanto serviti a pagare uno splendido funerale.
Ebbe allora l’allucinata visione di sé stesso in una bara, senza vita, con i fiori intorno e candele accese, suo padre... si chiese allora se suo padre conoscesse il dolore. Forse si, forse no, ma in quel delirio fantastico lo vide stringersi a Susan, con dipinta sul volto l’espressione di qualcuno che si è liberato da un peso e... quella visione lo aiutò a cercare di chiamare nuovamente, mentre, in un ultimo barlume di lucidità, si accorse che le forze gli stavano mancando.
In uno stato di semi-incoscienza, si rese conto che era riuscito a farsi sentire e che ora era impegnato nella corsa più importante dei suoi trent’anni, in una battaglia in cui nessuno poteva combattere e morire per lui. Non sentì null’altro. Né le sirene dell’ambulanza, né le parole concitate che riassumevano, in una sola, tutta la sua vita: overdose.
Non riusciva a capire cosa gli fosse accaduto intorno, né quanto tempo fosse restato incosciente. Ora sentiva come un ronzìo nelle orecchie, ma riusciva a percepire la presenza di qualcosa, di qualcuno. Con uno sforzo enorme, si guardò intorno per un istante e scorse la figura di suo padre che, seduto al suo fianco, nell’ambulanza, si teneva la testa fra le mani, scuotendola.
Il terribile segreto di suo figlio gli era stato rivelato nel peggiore dei modi e forse ora si stava chiedendo se un po’ di colpa non l’avesse anche lui. Steve sentì il desiderio di interrompere questa sua riflessione, lo chiamò piano e si accorse, in un solo momento, quanto quel nome, “papà”, fosse bello da pronunciare. Il dottor Bradley alzò il viso e Steve si sentì stringere il cuore nell’accorgersi che quell’uomo era capace di piangere, di provare qualcosa per suo figlio. Sentì i sensi di colpa stringergli forte il petto fino quasi a togliergli il respiro per averlo giudicato troppo severamente, forse gli aveva sempre voluto bene ma non era mai stato capace di dimostrarglielo. Come desiderava, ora, di non essersi cacciato in quel pasticcio ! Era stato sempre convinto che non gliene importasse un accidenti di lui, di quello che faceva, ed ora invece, era costretto a ricredersi!
In una sorta di foto sbiadita dal tempo, rivide la figura paterna nell’unica altra occasione in cui lo aveva già visto piangere: al funerale della moglie. Dopo si era chiuso in un silenzio ostinato che solo Susan era riuscita a rompere.
Suo padre gli si avvicinò, gli prese la mano continuando a chiedergli “Perché?”, ma Steve, continuava a fissarlo, quasi sorridendo, mentre gli occhi, scuri come quelli di sua madre e che risaltavano ancora di più sul volto pallido, gli si gonfiavano di lacrime; sentiva la mano calda di suo padre stringere la sua, accarezzargli a tratti il viso, quasi volesse rassicurarlo che tutto sarebbe andato per il meglio e trasmettergli tutto il calore e l’amore che fino ad allora gli aveva negato.
L’infermiere avvicinò al viso del ragazzo la maschera dell’ossigeno, Steve lo vide scuotere la testa ad una domanda di suo padre che non riuscì ad afferrare, sentiva le voci diventare sempre più fioche ed un gelido abbraccio, che lo avvolgeva lentamente. Scorse ancora per un attimo l’immagine sfocata del volto del medico, preoccupato, poi all’improvviso, si trovò dentro ad un lunghissimo tunnel buio, al cui termine si intravedeva appena una luce, sembrava una candela.
Come se una parte di sé si fosse staccata dal suo corpo, si vide, impotente spettatore, mentre correva nelle tenebre, arrancando disperatamente, per raggiungere quella fiammella, ma ogni volta che stava per farcela, questa si allontanava di nuovo e nuovamente lui riprendeva a correre, ogni volta con meno energia.
Si sentiva assalito e bloccato da invisibili tentacoli che lo afferravano, lo avvinghiavano e cercavano di trascinarlo di nuovo all’inizio del tunnel, ma ogni volta riusciva a liberarsi, sempre con maggior fatica. Correva, correva, e sentiva le forze venirgli meno, consapevole, tuttavia, che se si fosse fermato sarebbe stata la fine.
Sentiva il suo respiro affannoso ed il sudore che gli scendeva lungo il collo e sul petto, gli sembrava che le gambe fossero deboli, gli dolevano ed avvertiva la sensazione che non ce l’avrebbe fatta a resistere ancora a lungo.
Rallentò per un momento il passo, per riprendere fiato, ed ebbe la sensazione che in quel tunnel ci fosse qualcosa di strano, di sinistro; ne toccò le pareti scure e le sentì bagnate. Un lampo di luce squarciò per un attimo il buio, Steve guardò le sue mani sporche di sangue!
Ne ebbe orrore e, terrorizzato, riprese la sua corsa affannosa; gli giungeva, alle spalle, un respiro pesante, come il rantolo di chi sta morendo, e gli pareva di essere trattenuto da una forza invisibile e misteriosa che ostacolava la sua avanzata.
La luce si avvicinava sempre di più, quasi gli andava incontro e Steve pregò disperatamente perché non si fosse allontanata di nuovo. Sentì una mano gelida e ossuta afferrargli tenacemente il polso, trattenerlo, ma era ormai a pochi passi da quella strana luce, fece resistenza traendo forza dalla sua disperazione, mentre la stretta diventava debole, sempre più debole, fino a che, in un ultimo disperato sforzo, riuscì a raggiungere la meta.
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In quello stesso attimo, tirò un lungo sospiro accompagnato da un flebile gemito, udì un ticchettio, aprì gli occhi e vide i medici, che stavano uscendo dalla stanza, voltarsi. In quella stanza di ospedale erano state già spente le luci quando il monitor collegato al suo cuore aveva ripreso a dire che Steve era vivo.
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Nel 1997 il racconto ha partecipato al Concorso Nazionale “Spazio Donna” bandito dal Comune di Striano (SA) – sezione narrativa inedita risultando segnalato.
Nel 2005 il racconto viene segnalato al Concorso Letterario –Figurativo “San Maurelio”, edizione 2005
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2012, “Una notte per capire” – inserito nell’antologia in e-book “Antologia Opera Uno – vol. 2” edito da Opera Uno
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Ogni diritto d'autore è riservato ai sensi della Legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di "Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio." e dell'articolo 2575 e seguente del Codice Civile (Libro Quinto - Titolo IX: Dei diritti sulle opere dell'ingegno e sulle invenzioni industriali).

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