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Mercoledì, Aprile 24, 2024

La valle dell'Unicorno (2006)

 

Unicorno

Lo splendido cavallo sembrava sfiorare l’erba novella del prato col suo passo leggero. Sulla sella, con portamento fiero e nobile, la giovane Gwen cavalcava come un uomo.
La figura minuta, abbandonate le vesti ricche e ingombranti, era racchiusa in confortevoli abiti da cavaliere; i lunghi capelli neri dai riccioli capricciosi erano trattenuti dietro la nuca da un laccio e le mani, apparentemente più avvezze all’arte del ricamo che non a quella dell’equitazione, stringevano forti e sicure le redini, mantenendo con la bocca dell’animale un contatto morbido e costante.
La accompagnava Aran, un giovane giunto da qualche tempo al castello di suo padre, dove aveva trovato lavoro come stalliere; da lui aveva udito il fantastico racconto di una valle in cui, indisturbato, viveva uno splendido Unicorno.
Tanta e tale erano state la sua curiosità e la sua insistenza che, alla fine, il giovane aveva capitolato lasciandosi convincere a condurla in quel posto incantato.

Approfittando così dell’assenza del severo padre, Gwen aveva progettato tutto con cura e con la complicità della sua nutrice; quel giorno, preso il coraggio a due mani, aveva deciso che finalmente il momento propizio era giunto.
Non era ancora l’alba quando, dismesse le vesti da notte, aveva infilato delle pesanti braghe di tela, una casacca comoda e un mantello per ripararsi dal freddo; con passo leggero e felpato era poi scivolata furtiva lungo i corridoi che, dalle sue stanze, portavano alle scale e quindi alle scuderie.
Il castello era totalmente immerso nel sonno; le torce ne illuminavano debolmente le pareti e Gwen sgusciò via come un’ombra.
Giunta alle stalle aveva sellato il fido Schons, un magnifico frisone dall’aspetto massiccio e dal cuore gentile e generoso. Senza alcun nitrito si lasciò condurre fuori, dove Aran attendeva. Un sacchetto di monete d’oro volò rapido dalle mani del giovane a quelle del guardiano e la pesante grata dell’uscita fu sollevata, aprendo loro la via del bosco.
Si ritrovarono immersi in un mondo a lei quasi completamente sconosciuto. Nel cielo terso e nero le stelle brillavano come piccole candele e la luna splendeva chiara, illuminando i sentieri.
Mai per un attimo Gwen aveva dubitato della sincerità di Aran. Cavalcava al suo fianco tranquilla, senza impaurirsi per il fruscio provocato da un topo tra i cespugli o per il canto della civetta.
I grandi occhi scuri frugavano nel folto della vegetazione, mentre, senza pronunciare una sola parola, seguiva i movimenti morbidi del passo di Schons.
Dal canto suo il cavallo procedeva tranquillo; le orecchie, ben ritte e in avanti, dimostravano la sua estrema attenzione mentre la bocca, impegnata a masticare il morso, indicava che il ferro non lo infastidiva e che la mano della ragazza non gli provocava dolore.
Le grandi pupille nere e lucide sembravano rare perle incastonate in una testa scolpita nell’ebano, mentre il pelo e i crini luccicavano di riflessi corvini sotto l’argentea luce lunare.
Lo schiocco di un arbusto spezzato nel cammino, il sordo e quasi impercettibile tonfo degli zoccoli del passaggio dal prato ad un sentiero di terra battuta e il respiro dei cavalli erano i suoni costanti che accompagnavano il loro andare.
Si fermarono a riposare per un breve attimo nei pressi di un ruscello, smontando per far abbeverare i cavalli.
Gwen sollevò lo sguardo verso l’alto e la luna si rifletté sulla sua pelle color avorio, delicata e morbida come il petalo di una rosa.
Aran restò incantato dai lineamenti della ragazza e un fremito gli corse lungo la schiena. Sembrava così diversa dalle dame incontrate fino a quel momento: era fiera, ribelle… e terribilmente ostinata. Forse perfino troppo. Distolse lo sguardo nel medesimo istante in cui lei, forse sentendosi osservata, si voltò.
- Qualcosa non va messere? – lo apostrofò senza abbassare lo sguardo e volgendosi appena verso di lui. Il mantello la avvolgeva lasciando scoperte in parte le gambe e i drappeggi le fasciavano morbidamente il busto, nascondendone le forme.
Aran scosse la testa rassicurandola. Ritirò le redini del suo destriero e salì in sella. La ragazza lo imitò prontamente e il giovane non poté fare a meno di restare incantato dalla sua grazia e leggerezza.
Una ventata calda portò odori di muschio e fiori, di funghi e legno, riempiendo le loro narici e quelle dei cavalli che, inebriati, nitrirono sommessamente, scuotendo le grandi teste; le lunghe criniere ricaddero morbide lungo i colli arcuati. Gwen, prese le redini in una sola mano, passò l’altra sull’incollatura di Schons, sentendone il fremito dei muscoli. Sorrise.
Ripresero il cammino seguendo il ruscello. Grandi foglie e fiori che si schiudevano alla luce notturna ne ornavano le rive ora dolci, ora scoscese. Un profumo intenso di magnolia e gelsomino impregnava l’aria, infastidendo le sensibili froge dei cavalli. Schons diede segni di irrequietezza scrollando vigorosamente il capo e smettendo di masticare il morso. Prontamente la mano della ragazza lo richiamò mentre lei, tuttavia, non restava indifferente a quel cambio di paesaggio.
Non si era mai spinta oltre il punto in cui si erano fermati e ora tutto ciò che la circondava era completamente ignoto.
Pian piano il sentiero prese a inerpicarsi lungo le aspre e alte colline che delimitavano le terre di suo padre e, per la prima volta, provò un vago senso di nervosismo.
Portò con indifferenza una mano verso i reni; ben celato dal mantello, in un fodero di pelle morbida tra la veste e la cintura, c’era un pugnale. Non sapeva se sarebbe stata in grado di usarlo e, in cuor suo, sperò di non doverlo palesare fino alla fine del viaggio.
Man mano che salivano sulle colline l’aria si faceva più fresca, accentuata dall’avvicinarsi dell’aurora che, all’orizzonte, cominciava appena a delinearsi con un lieve rossore simile ad una pennellata fine di colore su una tela scura.
Il sentiero cominciò poi la sua discesa stretta e tortuosa lungo il fianco della collina, scoprendo da un lato profonde e scoscese ripe.
Gwen gettò appena uno sguardo oltre il ciglio del sentiero senza tuttavia rallentare il passo del cavallo.
Oltre la collina si aprì al loro sguardo un’immensa valle dominata da un’alta rupe avvolta da una fitta nebbiolina azzurrognola che sembrava diradarsi man mano che il sole pigramente faceva il suo ingresso su quella parte di mondo.
Rimasero per lunghi attimi ad osservare il giorno nascente e la luce dorata che sembrava accarezzare la pianura.
Schons alzò di scatto la testa volgendola verso nord; le grandi froge si dilatarono a cogliere un odore familiare, mentre un brontolio sordo gli scosse il torace e fece fremere il collo. Impaziente, tirò in avanti il muso a chieder redine alla dama che invece immobilizzò i polsi. Un nitrito possente si levò dalla gola del destriero, a cui fece coro quello di Aran. I due animali rasparono in terra con un’anteriore, irrequieti, turbati. Il cavaliere guardò Gwen e, in silenzio, riprese la discesa.
I fianchi della collina mutarono nuovamente di vegetazione; alti alberi e un fitto sottobosco di felci si presentarono davanti a loro. I sentieri, coperti di foglie giallastre, testimoniavano l’assenza di viaggiatori da lungo tempo. Nuovamente il silenzio fu loro compagno, mentre il cricchiare delle foglie frantumate ritmicamente lo interrompeva. Alle loro orecchie giunse il melodioso canto di un usignolo che salutava così il far del giorno, poi il gracchiare di un corvo e il bramire di un cervo.
Un fruscio tra gli alberi catturò la loro attenzione; il magnifico animale sbucò dal folto delle felci e dei cespugli, intento a brucare l’erba appena spuntata. Alzò per un solo istante il muso verso di loro, fissandoli con le pupille scure. Il palco di corna accentuava la maestosità del grande maschio. Senza curarsi troppo dei viaggiatori, rituffò il nero naso nel verde dell’erba, sfiorandola prima e strappandola poi. Gwen ed Aran potevano sentirne il sordo lamento nell’istante in cui il cervo la tirava via dalla terra afferrandola con i forti denti.
Solo per un attimo restarono a guardarlo incantanti poi tornarono sul sentiero; questo si inoltrava in una sorta di galleria verde, dove i rami degli alberi erano così fitti e vicini da intrecciarsi l’uno nell’altro e i rampicanti cadevano leggeri verso il basso formando una sorta di tenda naturale.
Il giovane esitò, ma la ragazza lo precedette, infilandosi nella galleria dove il sole non penetrava se non in modo minimo, facendo sì che l’umidità accentuasse l’odore di muschio e quello della terra bagnata e grassa. La ragazza inspirò profondamente come a voler riempire le narici con quegli aromi, sentendo i polmoni impregnarsi fino a scoppiare.
Schons era tornato docilmente all’obbedienza della mano di Gwen, anche se il passo era diventato più lungo, ansioso e di tanto in tanto lanciava nitriti sordi.
Un raggio di sole che filtrava nella fitta rete di rampicanti segnò la fine della galleria; il giorno aveva ormai preso il sopravvento, mentre gli ultimi veli violacei della notte andavano lentamente ritirandosi.
Il percorso finiva sulle larghe sponde di un lago dominato da un’alta cascata che, scendendo, si divideva in mille rivoli e cascatelle saltellanti; gli spruzzi, col favore del vento, arrivavano fino ai viaggiatori.
Gwen istintivamente si ritrasse al primo ed inaspettato contatto dell’acqua gelida sul viso per poi invece goderne un attimo dopo.
Volse intorno lo sguardo, curiosa, impaziente di scorgere quella strana creatura di cui tutti parlavano e che nessuno aveva mai visto. Osservò Aran, per la prima volta dubbiosa.
E se fosse stato un espediente del giovane per allontanarla dal castello, approfittando della curiosità che era stato capace di suscitare nella sua mente di fanciulla? E se l’Unicorno non esisteva?
Una smorfia automaticamente stirò verso l’alto il labbro della ragazza. Il cavaliere se ne avvide ma fece finta di nulla. Poteva tranquillamente indovinare quali pensieri passassero per la mente della donzella.
La invitò a smontare e, in silenzio, attorcigliarono le redini dei cavalli attorno a un ramo. Facendole strada la condusse fino a un rifugio fra i cespugli dove la invitò a nascondersi, indicandole poi la cascata.
Gwen si acquattò obbediente, fissando il punto che il giovane le aveva indicato, mentre questo si eclissò nel groviglio dei cespugli.
Il sole fece capolino tra le cime degli alberi illuminando la superficie del lago, appena increspato da una lieve brezza ma la ragazza aveva occhi solo per la cascata.
Oltre il velo d’acqua si intravedeva una specie di grotta scura e uno stretto passaggio che girava per metà intorno al lago, perdendosi poi nell’enorme radura circostante.
Uno scalpiccio di zoccoli, il nitrito dei loro cavalli che si distolsero dall’erba fresca e tenera che stavano mangiando furono i segnali che qualcuno, qualcosa si stava avvicinando.
Un brontolio proveniente dalla spelonca precedette la mitica creatura. Dall’oscurità finalmente si palesò un magnifico Unicorno; il mantello completamente bianco era lucido, serici i crini, ed il bevente appena grigio, dall’aspetto vellutato. I grandi occhi curiosi furono attirati dai due cavalli verso cui levò il muso, raspando in terra con i forti zoccoli: il lungo corno ritorto che aveva in fronte, circondato dal ciuffo della criniera, era ciò che lo rendeva diverso,. Nitrì verso i suoi simili, si alzò sui posteriori rampando, scosse il capo e la criniera divenne una nuvola candida simile a un aureola.
Gwen fece per alzarsi dal nascondiglio, ma rammentò la raccomandazione di Aran. Arrossì di rabbia. Avrebbe voluto avvicinarsi alla splendida bestia, sfiorarne con le mani il muso, sentirne la morbida criniera tra le dita; rimase tuttavia ferma, nascosta, lo sguardo rapito dalla nobile creatura. Mentre lo guardava estasiata pensava alle leggende che da secoli si intrecciavano intorno a lui.
L’Unicorno si volse verso il nascondiglio della ragazza, raspò piano con lo zoccolo per terra, sbuffando, come a volerla invitare ad uscire.
Timorosa Gwen si guardò intorno, cercando il giovane cavaliere che l’aveva accompagnata, ma subito lo sguardo fu nuovamente attirato dall’animale che, dopo aver scosso il collo, si inginocchiò sul prato, restando accovacciato nell’erba.
La ragazza si fece coraggio; si alzò lasciando cadere il mantello perché non le impedisse i movimenti e, piano, si avvicinò a lui. Quando gli fu a pochi passi, gli si accucciò dinanzi, tendendogli le mani coi palmi verso l’alto, perché comprendesse che non intendeva fargli del male; lasciò che la fiutasse, sfiorandole le dita con il naso morbido e caldo. Si inginocchiò, aspettando che lui decidesse se poteva avvicinarsi ancora. A quella distanza così ravvicinata poté vedere la criniera divisa in ciocche trattenute da piccoli anelli d’oro.
Il sole si era ormai levato alto, riscaldando l’ampio prato; i cavalli al pascolo ora erano tranquilli e di tanto in tanto lanciavano dei brontolii soddisfatti. Nei pressi della cascata, l’Unicorno era ancora accovacciato, ora col muso tra le mani della ragazza, gli occhi socchiusi mentre si godeva il tepore del sole.
Gwen lasciava scorrere le piccole dita lungo le grandi guance dell’animale sentendone il pelo morbido e setoso. Il calore che emanava dalla terra e dal corpo dell’animale la avvolse in un dolce torpore. L’Unicorno nitrì sommessamente, strofinando piano la grande testa prima sulla spalla e poi sulle ginocchia della ragazza, abbandonandosi completamente a lei.
Gli sfiorò appena le orecchie con le labbra, allungò il busto lungo il collo dell’animale, socchiudendo gli occhi. Il respiro profondo e regolare della creatura la condussero per mano sui sentieri della tranquillità.
*****
 - Milady … - una voce la destò e, come se tornasse da un lungo viaggio, la ragazza si scosse, sorpresa. Si guardò intorno perplessa, vide la radura, udì gli uccellini cantare e percepì il gorgoglio allegro dell’acqua del ruscello che saltellava sui sassi. Si volse verso il punto dov’erano i cavalli, sentendosi sollevata nell’avvistare entrambi. Si volse allora a chi l’aveva destata, riconoscendo Aran. Saltò in piedi, agitata.
- Lo avete veduto anche voi? – domandò curiosa.
- Intendete dire… l’Unicorno? – ribatté il giovane. La ragazza annuì – Certamente… lo vedo ogni volta che vengo qui. E’ come se fossimo una cosa sola, io e lui. – ammiccò, tirando fuori dalla bisaccia un involto di velluto - Questo è per voi. – la ragazza lo guardò senza celare  curiosità e perplessità – E’ un dono, per la vostra semplicità e per aver avuto fiducia. – le porse con gentilezza il piccolo fagotto – Prendetelo… vi prego. - restò per un attimo in silenzio - La strada la conoscete, - le mormorò – ora siete pronta per tornare da vostro padre. – quindi, facendole un profondo inchino, si allontanò da lei.
Gwen, presa dallo stesso entusiasmo di una bambina e dimenticandosi per un attimo di lui, con impazienza aprì l’involucro. Nella culla scura di velluto, una miriade di anellini d’oro brillò alla luce del sole, lasciandola esterrefatta: Aran era sparito.
In quel momento davanti agli occhi le tornò un’immagine a tratti confusa; mentre cavalcavano insieme per raggiungere la valle, aveva guardato distrattamente i capelli di lui mentre la precedeva. Bruni, inanellati… e con  una ciocca di capelli trattenuta da un cerchietto  del tutto identico a quelli che aveva in mano!
Sulla cima della rupe, l’Unicorno si mostrò nuovamente a lei, nitrendo e Gwen sorrise, stringendo quel piccolo tesoro sul cuore.
 
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Nel 2007,il racconto è vincitore del concorso “Bonsai Junior 2006” promosso dall’Agenzia Letteraria ALeS
Nel 2015, il racconto ha la menzione al concorso “Verso Valinor” promosso da David and Matthaus Edizioni ed inserito nell'antologia

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